Costi di gestione del magazzino

di Estelle Vermorel, ultima modifica Settembre 2013

I costi di gestione del magazzino sono i costi di messa a stock e mantenimento a magazzino delle scorte per un certo periodo di tempo. I costi di gestione del magazzino sono generalmente descritti come una percentuale del valore dell'inventario (inventario medio annuale, che per un rivenditore è dato dalla media delle merci acquistate dai fornitori in un anno) su base annuale. Possono variare sensibilmente a seconda del settore commerciale, ma, solitamente, si attestano su livelli piuttosto alti. È opinione diffusa che i soli costi di mantenimento a magazzino rappresentino circa il 25% del valore delle scorte disponibili.

Tutto ciò premesso, dare una definizione univoca di tali costi non è semplice. Persino la denominazione può essere ingannevole: i "costi di gestione del magazzino" vengono di volta in volta indicati come costi totali di inventario, costo totale di possesso delle scorte, costi di detenzione delle scorte, ecc., con piccole sfumature di significato che variano da un settore all'altro. In questo articolo, ci concentreremo sui costi di un magazzino "statico", piuttosto che sui costi derivanti dai movimenti delle scorte. Più precisamente, lasceremo da parte gli aspetti legati al flusso di merci e focalizzeremo la nostra attenzione unicamente sui costi che derivano dal tenere un certo numero di scorte in magazzino. A questo proposito, adotteremo la prospettiva più adatta dal punto di vista commerciale.

Per i rivenditori, sia al dettaglio che all'ingrosso, così come per le aziende di e-commerce, il magazzino è solitamente l'attivo più consistente e la spesa più ingente allo stesso tempo. Per questi motivi, stabilire i costi di gestione del magazzino è di fondamentale importanza: oltre ad avere serie ripercussioni sia sulle finanze, sia sulla gestione dell'impresa, questa operazione è utile a determinare quanto profitto l'azienda può trarre dall'inventario, di quanto possono essere ridotti i costi, quali modifiche possono essere apportate, per quali fornitori o articoli è meglio optare, come deve essere allocato il capitale, ecc.



Stabilire con precisione i costi di gestione del magazzino: sfide e difficoltà

Nel nostro lavoro, ci è capitato spesso di osservare che molte aziende non sono a conoscenza dei costi totali legati alla gestione del magazzino. Quel che è peggio è che molti danno per scontato che la contabilità sia sufficiente a dare una stima ragionevole dei costi di gestione del magazzino. Si tratta, però, di un'ipotesi sbagliata.

In primo luogo, valutare i costi di gestione del magazzino è già di per sé un problema non da poco. Esistono numerosi sistemi di contabilità dei costi, ognuno dei quali è utile per alcuni scopi, ma inadeguato, se non dannoso, per altri (cfr. Edward A. Silver, David F. Pyke e Rein Peterson, vedere Riferimenti più in basso). Inoltre, non è sempre possibile, né economicamente fattibile, tenere traccia di tutti i costi, o anche dividerli e riallocarli in modo adeguato. Per iniziare a valutare i costi di gestione del magazzino, bisogna prima di tutto capire che i registri contabili tradizionali non sempre mostrano le cifre più rilevanti e, quando lo fanno, non sempre si basano su regole e ipotesi convenienti allo scopo. Ad esempio, quando vengono combinati diversi costi, bisogna assicurarsi che ogni elemento venga sempre espresso in valori o al netto o al lordo delle tasse, ma non in una combinazione degli uni e degli altri.

In secondo luogo, il costo reale di gestione del magazzino comprende molti fattori e va ben al di là del costo dei beni venduti o delle materie prime. Pensiamo, solo per citarne alcuni, ai costi di gestione e di mantenimento, oppure ai costi di assicurazione, interessi, perdite di prodotto (shrinkage), ecc. In questo articolo, cercheremo di definire in modo chiaro questi costi e di stabilire un metodo efficace per determinarli.

Tenteremo poi di fornire una stima generica di alcuni di questi costi; sottolineiamo, però, che ognuno di essi dipende principalmente dal settore in cui opera l'azienda e dalle decisioni e politiche aziendali (ad esempio, ricorrere a fornitori terzi di servizi, o applicare una politica di gestione just in time, ecc.).

Suddividere i costi di gestione in categorie

Sebbene la letteratura in materia sia concorde sui principi di fondo, le categorie e sottocategorie in cui suddividere i costi di magazzino sono piuttosto varie, si sovrappongono o hanno denominazioni differenti. Lungi dalla pretesa di indicare la tipologia "giusta", descriveremo qui di seguito un metodo sensato dal punto di vista commerciale e utile a tracciare un quadro esaustivo dei costi di gestione del magazzino.

I costi di gestione del magazzino possono essere suddivisi in 3 macrocategorie:
  • costi di ordine (o costi di impostazione);
  • costi di mantenimento a magazzino (o costi di detenzione, o spese di custodia);
  • costi di rottura di stock (o costi di stock out).

Descriveremo brevemente ognuna di queste macrocategorie, soffermandoci, però, sui costi di mantenimento a magazzino.

Per approfondire: esistono anche altre tipologie, alcune delle quali più rilevanti per le aziende di produzione. Ad esempio, Mary Lu Harding (vedere i Riferimenti più in basso) adotta una prospettiva diversa, che comprende categorie, quali costi di non-consegna, costi di non-qualità, costi relativi all'uso, ecc., più adatte alle imprese che si occupano di lavorazione delle materie prime e più utili a determinare come scegliere i fornitori di materie prime.

Costi di gestione dell'ordine

I costi di gestione dell'ordine (denominati anche costi di impostazione, soprattutto nel caso delle aziende di produzione) sono i costi legati al riapprovvigionamento e coprono le frizioni create dagli ordini stessi, ossia i costi cui un'azienda deve far fronte ogni volta che emette un ordine. Possiamo suddividere tali costi in due parti:
  • il costo della procedura di ordine: può essere considerato come un costo fisso, indipendente dal numero di unità ordinate. Generalmente include le commissioni dovute per emettere l'ordine, oltre alle spese amministrative di fatturazione, contabilità o comunicazione. Per le grandi aziende, soprattutto nel settore retail, questi costi possono ridursi al costo ammortizzato del sistema EDI (Electronic Data Interchange, interscambio di dati elettronici), che consente di ridurre significativamente, a volte di diversi ordini di grandezza, i costi di elaborazione dell'ordine;
  • i costi di logistica inbound, relativi a trasporto e ricezione (scarico e verifica). Si tratta di costi variabili: il costo di spedizione dovuto al fornitore dipende dal volume totale di merci ordinate, per cui il costo per unità ordinata può essere soggetto a variazioni notevoli.

Non è semplice fare una stima, anche approssimativa, dei costi di gestione dell'ordine, poiché in essi rientrano elementi strettamente legati al settore industriale o, addirittura, all'articolo desiderato: i fornitori possono essere locali oppure trovarsi in un altro continente; la consegna può essere possibile solo per pallet di prodotti e non per unità, oppure solo con un quantitativo minimo d'ordine; inoltre, possono essere disponibili sconti per grandi quantitativi, ecc.

Esistono diverse possibilità per minimizzare i costi di ordine o, più precisamente, per trovare il giusto compromesso tra costi di mantenimento a magazzino e sconti per grandi quantitativi: l'obiettivo è quello, sostanzialmente, di equilibrare i costi dovuti all'ordinare troppo e i costi dovuti all'ordinare troppo poco (solitamente, un magazzino che contiene meno scorte porta a ordini più frequenti, e dunque a costi di ordine più alti, ma implica anche costi di mantenimento a magazzino più bassi). Possiamo ottenere questo risultato calcolando il lotto economico (o EOQ, Economic Order Quantity). Senza entrare nello specifico, basti ricordare che, nonostante in letteratura compaia un modo per calcolare il lotto economico con la formula di Wilson, questa particolare formula, che risale al 1913, non è la più adatta per le aziende di distribuzione, perché dà per scontato che i costi di ordine siano fissi. È comunque possibile determinare i quantitativi di ordine ottimali, elaborando una funzione di costo che tenga conto dei volumi di sconto, come specifichiamo nell'articolo dedicato.

Costi di mantenimento a magazzino

I costi di mantenimento a magazzino sono di importanza fondamentale dal punto di vista di un magazzino "statico", se cioè ci concentriamo sulle conseguenze di una quantità maggiore o minore di scorte, indipendentemente dal flusso di magazzino.

Anche in questo caso, le denominazioni che si trovano in letteratura sono diverse. La classificazione che proponiamo noi è la seguente:

  • costi di capitale (od oneri di finanziamento);
  • costi di magazzinaggio;
  • costi di servizio;
  • costi di rischio.

Costi di capitale

Tra i costi di mantenimento a magazzino, i più ingenti sono sicuramente i costi di capitale, che includono qualsiasi spesa legata a investimenti e interessi sul capitale operativo, nonché i costi opportunità del denaro investito nelle scorte (invece che in buoni del tesoro, fondi comuni di investimento, ecc.). Determinare i costi di capitale può essere più o meno complicato, a seconda del settore industriale in cui opera l'azienda. Possiamo, però, tracciare alcune linee guida: è importante distinguere tra la parte finanziata esternamente e la parte finanziata attraverso il flusso di cassa interno, così come è necessario determinare il rischio connesso al possesso di scorte nel proprio settore di attività.

Un metodo tradizionale per determinare i costi di capitale è usare il WACC (Weighted Average Cost of Capital, costo medio ponderato del capitale), ossia il costo medio che l'azienda prevede di sostenere per raccogliere risorse finanziarie tra finanziatori esterni (la formula per il calcolo è sulla pagina Wikipedia). Stephen G. Timme e Christine Williams-Timme (vedere Riferimenti più in basso) propongono anche di esprimere il WACC come costo di patrimonio netto e costo di indebitamento al netto delle tasse.

Generalmente, i costi di capitale vengono perlopiù sottovalutati. L'errore che si commette più spesso è quello di ridurli a tassi debitori a breve termine. Sempre secondo Timme e Williams-Timme, tra gli altri, per gran parte delle aziende, i costi di capitale raggiungono il 15%, ma molte imprese si limitano ad applicare un tasso del 5%.

Molti, poi, dimenticano di calcolare e prendere in considerazione il rischio legato al possesso di scorte, che a volte può essere anche molto alto (i prodotti freschi, se invenduti, possono perdere tutto il loro valore nel giro di pochi giorni, i prodotti di elettronica di consumo rischiano di diventare obsoleti rapidamente, ecc.). Se l'azienda avesse deciso di usare il proprio denaro per un investimento altrettanto rischioso, invece che per il magazzino, quale sarebbe stato il ritorno sull'investimento?

Per approfondire: stabilire se il WACC sia un metodo adeguato o meno a misurare i costi di capitale richiederebbe una discussione troppo specifica per poter essere trattata in questo articolo. Per un punto di vista alternativo, consigliamo l'articolo di Christopher S. Jones e Selale Tuzel (vedere Riferimenti più in basso). L'articolo include anche un confronto tra tassi di ammortamento del capitale fisso e tassi di ammortamento delle scorte.

Costi di magazzinaggio

I costi di magazzinaggio includono le spese legate alla manutenzione dell'edificio e degli impianti (illuminazione, aria condizionata, riscaldamento, ecc.), i costi di acquisto, ammortamento o locazione, nonché le tasse di proprietà.

Ovviamente, questi costi dipendono principalmente dal tipo di magazzinaggio prescelto, ad esempio dal fatto che il deposito sia affittato o di proprietà dell'azienda. Per le imprese più piccole, dove lo stesso edificio è utilizzato a diversi scopi, è necessario stabilire la parte di edificio destinata a ricevere e immagazzinare le scorte.

In questa categoria rientra anche un fenomeno problematico: la saturazione dello spazio disponibile in magazzino, che può provocare un aumento assolutamente non lineare dei costi, creando costi aggiuntivi di ogni tipo. Ad esempio, quando un deposito raggiunge il punto di saturazione, diventa quasi impossibile spostarsi al suo interno, i flussi possono anche bloccarsi completamente e l'unica soluzione, non sempre facile da attuare in tempi brevi, è trovare un altro edificio. Questo problema causa un dispendio notevole di tempo e denaro, necessari a ripulire il magazzino e riavviare i flussi. In alcuni casi, abbiamo potuto osservare che 3 o 4 episodi di questo tipo l'anno sono sufficienti per tenere il reparto logistica dell'azienda occupato per metà del suo tempo.

Costi di servizio

I costi di servizio includono assicurazione, materiale hardware e software (per alcune aziende, strumenti RFID e simili), ma anche movimentazione delle merci, con tutte le spese corrispondenti legate a risorse umane, management, ecc. Possiamo inserire in questa categoria anche le spese di controllo delle scorte e conteggio dei cicli. Infine, possiamo aggiungere anche le tasse, benché queste siano quasi una categoria a parte.

Se ricorriamo a fornitori di servizi logistici integrati (Third Party Logistics Providers, o 3PL Providers), i costi a essi relativi possono essere presentati insieme ai costi di magazzinaggio, nel qual caso determinarli risulterà molto semplice.

Costi di rischio

I costi di rischio fanno riferimento essenzialmente al fatto che gli articoli possono perdere di valore nel periodo in cui sono messi a magazzino. Si tratta di un aspetto particolarmente rilevante soprattutto per l'industria della distribuzione di merci deperibili.

I rischi comprendono lo shrinkage, ossia la perdita di prodotti tra il momento dell'acquisto dai fornitori (scorte registrate) e il momento della vendita (scorte reali). Può essere causato da errori amministrativi (errori nella consegna, merci mal posizionate, ecc.), frode del venditore, taccheggio e furto (ivi compreso il furto da parte di dipendenti), danni dovuti al trasporto o avvenuti durante la messa a magazzino (per magazzinaggio inadeguato, danni causati da acqua o calore, ecc.).

Nel retail, lo shrinkage si verifica soprattutto a livello di punto vendita, come testimoniano questi dati:
  • negli Stati Uniti, l'Università della Florida conduce ogni anno un Sondaggio Nazionale per la Sicurezza nel Retail, che coinvolge 100 aziende di distribuzione. Secondo questo studio, nel 2009 lo shrinkage ha rappresentato l'1,44% delle vendite retail negli Stati Uniti, di cui il 43% dovuto a furto da parte dei dipendenti;
  • secondo lo stesso studio, nel 2011 (sondaggio pubblicato nel 2012), lo shrinkage si è attestato all'1,41%;
  • un altro studio, condotto dal Centre for Retail Research, ha pubblicato il Global Retail Theft Barometer, un barometro dei furti nel retail a livello globale, che stima lo shrinkage come pari all'1,45% delle vendite retail nel 2011.

Le percentuali più alte si registrano per carne fresca e formaggi nel settore alimentare, per i prodotti da barba e i profumi nel settore salute e bellezza, per accessori e outerwear nel settore abbigliamento.

I costi di rischio, quando si tratta di inventario, comprendono anche l'obsolescenza, e cioè i costi relativi agli articoli ancora invenduti dopo la data di scadenza, oppure agli articoli che diventano obsoleti (è il caso tipico dei prodotti di elettronica, ma anche degli articoli con un nuovo packaging, e così via).

Determinare il valore dei costi di rischio non è sempre così immediato come potrebbe sembrare. Per esempio, bisogna considerare il valore dei write off su un certo periodo di tempo (diviso per il valore medio delle scorte nello stesso periodo). Tuttavia, i write off non vengono sempre considerati in modo adeguato, i conteggi dei cicli non sempre sono regolari, e via di seguito. In alcuni casi, gli articoli che dovrebbero essere sottoposti a write off sono tenuti in magazzino per anni.

Infine, ci corre l'obbligo di sottolineare che quelli che abbiamo appena definito come costi di magazzinaggio e costi di rischio vengono a volte riuniti sotto l'ombrello dei costi di mantenimento a magazzino non legati al capitale, enfatizzando così il fatto che i costi di capitale costituiscono la parte più consistente dei costi di gestione del magazzino. Mentre i costi di capitale costituiscono da soli il 15% circa, tutti gli altri costi presi insieme raggiungono approssimativamente la stessa percentuale (il 10% stando a Timme e Williams-Timme, il 19% stando all'Annual State of Logistics Report di Robert V. Delaney di Cass Information Systems). La variabilità di questo valore è data soprattutto dal rischio di obsolescenza.

Un primo approccio ai costi di mantenimento a magazzino: stime rapide e formula

Fin qui abbiamo visto come possa rivelarsi complicato stabilire con precisione i costi di mantenimento a magazzino e tutte le loro componenti, date le loro variazioni secondo il settore di attività dell'azienda. Possiamo, tuttavia, tentare una stima approssimativa dei costi.

Molte aziende tendono a sottovalutare i costi totali di mantenimento a magazzino. Per gran parte delle aziende di distribuzione o di produzione, gli esperti valutano questi costi tra il 18 e il 75% l'anno (o, secondo Helen Richardson, tra il 25 e il 55% – vedere i Riferimenti più in basso). Come abbiamo già detto, l'elemento chiave nel calcolo di questa percentuale è dato dai costi di capitale (inclusi gli investimenti sulle scorte) e dal tipo di prodotti (intuitivamente, più i prodotti sono deperibili, maggiori saranno i costi).

In linea di massima, i costi di mantenimento a magazzino si attestano intorno al 25% del valore delle scorte disponibili (cfr. James R. Stock e Douglas M. Lambert, Strategic Logistics Management, 2° edizione, Irwin Professional Publishing, 1987).

Un altro metodo per calcolare rapidamente i costi di mantenimento a magazzino consiste nell'aggiungere il 20% al tasso primario applicato ai prestiti. Se, ad esempio, il tasso primario è del 10%, i costi di mantenimento a magazzino saranno del 10+20=30%.

Per tutti i motivi che abbiamo finora elencato, è difficile fornire una stima più precisa. Semplificando, possiamo dire che in letteratura si fanno corrispondere, a ognuna delle categorie di costo, queste percentuali:
  • costi di capitale : 15%;
  • costi di magazzinaggio : 2%;
  • costi di servizio : 2%;
  • costi di rischio : 6%.

In controtendenza, lo studio di Helen Richardson (vedere i Riferimenti) del 1995 assegna ai costi totali di gestione del magazzino un valore tra il 25 e il 55%, così distribuito:

  • costo del denaro: 6% - 12%;
  • tasse: 2% - 6%;
  • assicurazione: 1% - 3%;
  • spese deposito: 2% - 5%;
  • movimentazione: 2% - 5%;
  • spese amministrative e controllo delle scorte: 3% - 6%;
  • obsolescenza: 6% - 12%;
  • deterioramento e taccheggio: 3% - 6%.

In termini pratici, in media, nel migliore dei casi (25%), un distributore spende in un anno €250 per ogni €1.000 mantenuti a magazzino.

Un esempio pratico.

Consideriamo un'azienda con un magazzino dal valore medio di 10 milioni di euro. Per calcolare i costi di mantenimento a magazzino, dobbiamo prima di tutto aggiungere tutti i costi non legati al capitale. Poniamo che i costi siano così distribuiti:
  • costi di magazzinaggio: 200.000;
  • costi di servizio: 800.000;
    - movimentazione: 200.000;
    - assicurazione: 100.000;
    - oneri amministrativi, spese per macchinari e controllo: 300.000;
    - tasse: 200.000;
  • costi di rischio: 900.000;
    - shrinkage (furti inclusi): 300.000;
    - obsolescenza: 600.000.

Il totale è pari a 1,9 milioni di euro.

Per ottenere una percentuale, dividiamo il totale per il valore medio del magazzino: €1.900.000 / €10.000.000 = 19%.

Aggiungiamo infine i costi di capitale. Poniamo che in questo caso siano del 10%, pari a 1 milione di euro.

In questo caso, i costi totali di mantenimento a magazzino saranno di 2,9 milioni di euro per un valore medio del magazzino di 10 milioni di euro. La percentuale relativa sarà 19%+10%= 29%.

Costi delle rotture di stock

Se vogliamo tracciare un quadro completo dei costi di gestione del magazzino, non possiamo non menzionare i costi relativi alle rotture di stock, ossia i costi che un'azienda deve sostenere quando si verifica una rottura di stock. Nel settore retail, questa categoria comprende consegne urgenti, passaggio a fornitori con consegna più rapida, sostituzione con articoli meno redditizi, ecc. Questi costi in particolare sono piuttosto facili da quantificare. Altri costi, che pure derivano da una rottura di stock, come la perdita di fidelizzazione da parte del cliente o la reputazione generale dell'azienda, sono molto più complicati da calcolare.

Modellizzare il costo di una rottura di stock è un argomento troppo vasto per poter essere trattato qui in modo dettagliato. Basti sapere che, di regola, il costo del magazzino è controbilanciato dal costo opportunità delle rotture di stock: è possibile bilanciare il costo del magazzino con il costo delle rotture di stock regolando i livelli di servizio.

Benefici diretti della riduzione delle scorte

Come evidenziato in precedenza, i costi legati al magazzino sono considerevoli. Di conseguenza, è apprezzabile qualsiasi iniziativa volta a ridurre le scorte: in questo modo, non solo otterremo dei risultati immediatamente misurabili sul magazzino stesso, ma ridurremo anche i costi di capitale, di mantenimento a magazzino, di rischio, e via di seguito.

Secondo Timme e Williams-Timme (vedere i Riferimenti), uno degli errori più comuni nel valutare i benefici delle iniziative legate alla catena logistica è precisamente quello di sottovalutare il loro impatto sui costi di gestione del magazzino:

“Quando si tratta di valutare le iniziative legate alla catena logistica, molte aziende sottovalutano o, addirittura, omettono i benefici di una diminuzione dei costi di magazzino non legati al capitale, perché non possiedono stime credibili di tali costi. Molti concordano sull'esistenza di benefici, ma, senza stime credibili, tali benefici vengono di solito esclusi dall'analisi. È un fatto comprensibile. Tuttavia, se l'impatto di questi costi non può essere ragionevolmente misurato, si rischia di sottostimare il valore reale di molte iniziative prese riguardo la catena logistica” (traduzione nostra).

Detto questo, possiamo supporre che non tutte le spese possano essere ridotte in modo così semplice. Se, però, alcune spese, soprattutto quelle relative a depositi o macchinari, non possono essere ridotte senza stravolgere l'organizzazione, molte altre spese, strettamente connesse al valore del magazzino, come tasse, assicurazione od obsolescenza, possono essere facilmente quantificate come una percentuale del valore medio del magazzino. Per queste ragioni, ogni riduzione del valore del magazzino porta con sé benefici significativi.

I benefici apportati dai miglioramenti nella gestione di magazzino sono uno dei motivi per cui Lokad è specializzata nell'ottimizzazione delle scorte. Lokad offre diverse applicazioni web adatte allo scopo, prima fra tutte la nostra applicazione web di previsione delle scorte tramite previsione della domanda, che mira a fornire previsioni di vendita e punti di riordino ottimizzati per tenere in magazzino la quantità di scorte ideale.

Per approfondire

Vorremmo ancora una volta sottolineare il fatto che misurare con precisione i costi appena elencati, al fine di ottenere un quadro completo dei costi di magazzino, non è compito facile. È, però, un'operazione potenzialmente molto fruttuosa dal punto di vista degli effetti, sia finanziari che decisionali, sulla vita dell'azienda.

È anche possibile spingersi più oltre, soprattutto riguardo i costi di mantenimento a magazzino. Tanto per fare un esempio, è probabile che gli articoli in magazzino non abbiano gli stessi costi di mantenimento, anche se fanno parte della stessa categoria o sono immagazzinati nello stesso deposito. Possono esserci differenze dovute a volumi di vendita, rotazioni, volume variabile degli articoli, ecc. Determinare con maggiore precisione i costi di mantenimento a magazzino di ogni articolo in catalogo può aiutarci a focalizzare la nostra attenzione sui prodotti più importanti, tralasciando quelli meno redditizi. A questo scopo, si rivela utile la categorizzazione delle scorte, attraverso metodi quali l'analisi ABC. Per ulteriori dettagli, rimandiamo al nostro articolo sull'argomento.

Riferimenti

1. Mary Lu Harding, C.P.M., CPIM, CIRM, "Calculating the total cost of ownership for items which are inventoried", NPMA, volume 14, numero 2, 2002.

2. Christopher S. Jones e Selale Tuzel, "Inventory Investment and the Cost of Capital", Gennaio 2009, disponibile online.   3. Helen Richardson, "Control your costs then cut them", Transportation & Distribution, Dicembre 1995, 94-96.

4. Edward A. Silver, David F. Pyke, Rein Peterson, Inventory Management and Production Planning and Scheduling, 3° edizione, John Wiley & Sons, 1998.

5. Stephen G. Timme e Christine Williams-Timme, "The Real Cost of Holding Inventory", Supply Chain Management Review, 7/1/2003.