Spedizioni in container

di Ferdinand Carré, Agosto 2021

L'utilizzo dei container come formato di trasporto standard a livello globale ha determinato una forte riduzione dei costi e al contempo reso la supply chain più efficiente. Quella che chiamiamo "spedizione in container" nasconde in realtà una serie di innovazioni che hanno rivoluzionato la supply chain, soprattutto attraverso un calo deciso dei costi del trasporto intermodale: il ricorso ai container ha infatti reso porti, stazioni e terminal cargo notevolmente più efficaci di quanto non fossero in passato, ma ha anche avuto ripercussioni sull'intera organizzazione delle catene di fornitura e consentito a sempre più attività di affidarsi agli scambi internazionali, aumentando notevolmente efficienza e redditività. Vediamo quindi in cosa consiste, nel dettaglio, questa rivoluzione e quali sono le sue implicazioni per le aziende moderne.

pila di container



Una rivoluzione dei costi per una supply chain più efficiente

Il taglio dei costi si è verificato prima di tutto a livello di margini intensivi: grazie alla standardizzazione dei container, è diventato possibile trasportare una maggiore quantità di merci con un investimento della stessa entità. Per "standardizzazione" si intende il fatto che, indipendentemente da area geografica e metodo di trasporto, le merci viaggiano ormai in container le cui dimensioni sono sempre le stesse, oppure un multiplo della stessa unità di base: l'unità equivalente a venti piedi (o, con sigla inglese, TFE). Questo consente di spostare le merci non solo da un punto all'altro, ma anche da una nave a un camion, a un treno o a un'altra nave, sempre nello stesso contenitore. La semplice standardizzazione a livello mondiale è bastata per avere forti ripercussioni sui costi della supply chain.

La possibilità di spostare delle merci da una nave a un treno senza sostituire nulla se non il mezzo di trasporto è stata un enorme passo avanti rispetto ai tempi in cui i portuali scaricavano le merci dalle stive per poi, magari dopo una sosta in magazzino, doverle ricaricare su vagoni merci. Allora, un punto intermodale come un porto rischiava di trasformarsi in un vero e proprio collo di bottiglia per i commerci, e questo era un fattore limitante per la supply chain globale: gran parte dei costi a essa associati derivavano infatti dai punti di connessione fra i vari metodi di trasporto. Con l'avvento dei container, invece, cambiare metodo di trasporto e caricare o scaricare le merci divennero attività molto più semplici ed economiche: bastava infatti avere a disposizione una gru che scaricasse i container dalla nave e li caricasse su un treno, camion o altro mezzo sufficientemente capiente. Insomma, una volta acquistata la gru e costruito il container, un'azienda poteva investire lo stesso importo di prima e assicurarsi il trasporto di quantità notevolmente maggiori di merci. Per capire come la riduzione dei costi è stata in grado di modificare la supply chain, possiamo tornare al primo utilizzo dei container intermodali: nel 1956, una società di spedizioni su ruota operante tra New York e Houston scelse di evitare le congestioni del traffico spostando parte delle spedizioni in mare, nonostante all'epoca la navigazione costiera fosse considerata molto meno redditizia del trasporto su gomma (e, anzi, fosse praticamente scomparsa negli Stati Uniti per le grandi quantità di merci). La società fece la scelta innovativa di caricare i cargo in container di metallo che potevano essere trasferiti da un camion a una nave e viceversa, con il solo ausilio di una gru. Improvvisamente, i punti intermodali divennero 40 volte più produttivi rispetto al passato, quando erano i portuali a gestire il cargo "break-bulk". Appena dieci anni dopo, nel 1966, l'Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) stabilì una norma ufficiale per i container, valida ancora oggi.

Più in particolare, l'impennata della produttività e il calo dei costi possono essere attribuiti a una serie di fattori. In primo luogo, l'improvviso ridimensionamento del ruolo dei portuali causò un crollo nei costi della manodopera, poiché le gru non solo erano più produttive, ma costavano anche meno. La produttività nei porti schizzò verso vette senza precedenti: secondo uno studio, passò da 1,7 tonnellate l'ora a oltre 30 tonnellate l'ora, con un aumento di 17 volte.

Oltre al crollo dei costi della manodopera, l'introduzione delle gru meccaniche e il fatto che non fosse più necessario gestire le merci direttamente abbassò i costi per le assicurazioni contro deterioramento e furto, che prima dell'avvento dei container erano una vera e propria piaga (una vecchia barzelletta risalente ai tempi del cargo "break-bulk" recitava che la paga di un portuale era pari a "venti dollari, più tutto lo Scotch che riesci a portare a casa"). La spedizione in container assicura poi che la merce si preservi meglio per tutto il viaggio: un aspetto non trascurabile, dato che i prodotti rimangono spesso all'interno dello stesso container dalla partenza fino all'arrivo. Infine, l'automazione della gestione dei cargo nei punti intermodali ha ridotto drasticamente le esigenze di magazzinaggio, poiché i container possono essere scaricati da una nave e caricati su un camion senza passaggi intermedi in magazzino, evitando così costi ulteriori e ritardi.

Considerata la diminuzione dei costi legati ad assicurazioni e magazzinaggio, gli aumenti in produttività ed efficienza derivanti dall'uso dei container vanno dunque al di là del semplice "quante merci posso trasportare pagando questo importo?".

Una nuova organizzazione: il margine estensivo della rivoluzione dei container

La riduzione dei costi è quindi dovuta al fatto che il container resta sempre lo stesso, indipendentemente dal metodo di trasporto, e questo influisce sul margine estensivo dell'ottimizzazione della supply chain, poiché cambia il modo di lavorare. La standardizzazione a livello globale attraverso la containerizzazione comporta infatti una profonda trasformazione delle strutture della supply chain. Ad esempio, oggi gli operatori della supply chain scelgono di specializzarsi nel trasporto via container, che consente loro di poter gestire qualsiasi fase della catena, poiché tutto è trasportato all'interno di un formato standardizzato, che può essere previsto alla perfezione e gestito in maniera standard. L'integrazione tra un unico formato di trasporto e operatori specializzati che gestiscono l'intera filiera riduce notevolmente i costi organizzativi, poiché semplifica il monitoraggio del trasporto. Più in generale, le spedizioni via container possono apportare benefici anche a una supply chain complessa che aggrega merci molto diverse, poiché ne riduce appunto la complessità.

Il fatto che oggi i container siano il formato standard e globale per i trasporti favorisce inoltre le imprese alla ricerca di logistica end-to-end e strategie business-to-consumer, che possono rappresentare un importante passo avanti nell'ottimizzazione della supply chain. Dato che un container può attraversare migliaia di chilometri tra un porto internazionale e l'altro, così come essere trasportato a bordo di un camion di piccole dimensioni lungo strade strette, i cargo possono essere spostati dai grandi centri di produzione a praticamente ogni consumatore, con una profonda ristrutturazione della supply chain guidata dall'efficienza. L'universalità dei container e l'ampia gamma di mezzi di trasporto con cui sono compatibili consentono anzi di attuare una logica "hub and spoke" ed evitare così del tutto la necessità di inventari, depositi di vaste dimensioni e la costosa dipendenza da grandi centri di consumo, come grandi magazzini e centri commerciali.

Insomma, la standardizzazione e gli effetti di rete aumentano l'efficienza della supply chain, ma richiedono anche una solida struttura organizzativa che assicuri un coordinamento ottimale. Tendenzialmente, negli odierni sistemi di trasporto i container sono visti come materie prime che possono essere scambiate su mercati altamente integrati, con l'obiettivo di un'allocazione ideale delle spedizioni in container disponibili, attuata praticamente all'istante per diminuire i ritardi e partecipare a una supply chain just in time, e più in generale in grado di eliminare gran parte delle frizioni causate da trattative condotte a livello locale: una sorta di "Borsa" in cui vengono negoziati container, rotte e fasce orarie disponibili, fortemente dipendente dalle tecnologie informatiche.

I container oggi: una panoramica

La standardizzazione implica anche che tipologie di cargo molto diverse possano essere trasportate con lo stesso sistema di trasporto, consentendo così di poter rinunciare a costose infrastrutture specifiche e ottenere un'elevata efficienza dei costi. In altre parole, le supply chain non necessitano più di navi, treni o camion progettati specificamente per prodotti freddi, materie prime o merci di dimensioni non comuni, ma piuttosto di un'ampia gamma di tipi di container per una gamma ancora più ampia di merci, trasportabili attraverso un'unica infrastruttura globale.

Il percorso tipico di un container comprende tratti su strada, in camion di dimensioni piccole (per un container da 1 TFE) o grandi (per un container da 2 TFE). Continua poi solitamente a bordo di navi portacontainer, che statisticamente superano i 300 metri di lunghezza e i 20.000 TFE di tonnellaggio, e che collegano due porti internazionali seguendo una rotta precisa, con l'obbligo di mantenere una determinata distanza dalle altre navi portacontainer davanti e dietro, in modo che le imbarcazioni più piccole possano attraversare senza correre rischi. Il porto di destinazione è solitamente di dimensioni molto grandi e costruito almeno in parte in acque profonde, in modo da poter accogliere navi di tale stazza, con moli molto ampi, chiamati terminal, in cui i container possono stazionare in attesa del trasferimento su un altro mezzo di trasporto. I container possono anche essere trasferiti direttamente su treni o camion parcheggiati lungo il pontile, con l'aiuto di gru meccaniche e, molto spesso, automatiche, manovrate via computer dagli uffici dell'autorità portuale. Una volta spostato il container, il treno si dirige verso un punto del vasto hinterland del porto, che per gli scali internazionali si estende al di là dei confini nazionali, coerentemente con la logica hub and spoke. Il container prosegue quindi verso il luogo di consumo finale, oppure verso fabbriche, centri di montaggio o hub di distribuzione, a seconda della specifica supply chain.

Un altro confine che le spedizioni via container hanno contribuito a cancellare è quello tra tipologie di cargo molto diverse: oggi le navi portacontainer possono essere utilizzate per trasportare merci secche o fresche, prodotti solidi o liquidi, e articoli di varie dimensioni, proprio perché esistono vari tipi di container adatti a ciascuna categoria.

Il container per carico secco è quello più riconoscibile a livello visivo e sicuramente quello dall'utilizzo più versatile: basta dare un'occhiata al sito web di una grande azienda del settore shipping per vedere come un contenitore di questo tipo può essere sfruttato per trasportare capi di abbigliamento (con tanto di rella appendiabiti all'interno), automobili o sacchi di caffè.

Nel caso di merci fresche sono utilizzati invece i container refrigerati (detti anche reefer), dotati di un motore di refrigerazione alimentato dalla rete elettrica esterna in depositi, su navi o banchine, o eventualmente da generatori diesel durante il trasporto su strada o rotaia. Quando sono previsti lunghi viaggi a bordo di camion o treni, in cui l'alimentazione elettrica esterna non è disponibile, la refrigerazione criogenica consente di regolare la temperatura in maniera efficiente per periodi fino a un mese e di posizionare il container in qualsiasi punto della nave (e cioè, non necessariamente accanto a una fonte di alimentazione esterna). Il concetto alla base di questa tecnologia è che, quando un liquido evapora, tende a raffreddare l'aria che lo circonda: è quindi possibile regolare la temperatura immagazzinando azoto liquido, o persino ghiaccio secco, e lasciandolo evaporare lentamente. In questo modo, si possono mantenere i prodotti freschi in un intervallo di temperatura molto ampio, che va dai +25 ai –60 °C.

Il gas e il petrolio vengono solitamente trasportati su navi cisterna, ma esistono anche container cisterna (detti anche tank container o "tanktainer") che consentono di spostarli all'interno del sistema globale dei container: il cargo viene caricato su una cisterna standard, montata all'interno di un telaio in metallo, le cui dimensioni combaciano perfettamente con quelle di un normale container per carico secco. La domanda da porsi, allora, è: quando conviene, da un punto di vista puramente economico, utilizzare un tanktainer anziché una nave cisterna? Da un lato, il tanktainer riduce il prezzo del trasporto, per tutte le ragioni che abbiamo discusso prima; dall'altro lato, però, anche l'utilizzo di cisterne molto capienti sulle grandi petroliere consente di risparmiare una notevole quantità di denaro, e le operazioni di carico e scarico non sono più costose come nell'era pre-container. Di conseguenza, se le navi cisterna sono la soluzione più interessante per il trasporto dei carburanti più comuni come gas e petrolio, il tanktainer può rivelarsi meno costoso nei casi in cui è più difficile approfittare delle economie di scala, come nel trasporto di combustibili più rari o in quantità inferiori, oppure quando i tragitti sono più brevi (il che spesso significa anche quantità minori, dato che i porti di partenza e di destinazione non saranno necessariamente due hub internazionali).

Infine, per le merci ingombranti che non possono essere caricate dal portellone o che sporgono in senso laterale o verticale, in alternativa al classico container per carico secco è possibile utilizzare il cosiddetto "flat rack", un container aperto su tutti i lati fuorché sul pavimento e dotato di due sponde interamente in acciaio, utilizzato soprattutto per il trasporto di automobili grandi, alcune tipologie di cargo break-bulk e quasi tutte le macchine di grandi dimensioni, come gru oppure oleodotti. I flat rack sono disponibili in versione da 20 o 40 piedi, o in un particolare formato a sponde abbattibili, che consente di piegare le sponde e impilare i container vuoti uno sull'altro, per un notevole risparmio di spazio (quattro flat rack con sponde piegate impilati l'uno sull'altro equivalgono a un solo container per carico secco) e una maggiore facilità di trasporto rispetto alle altre varianti.

Trasformare l'economia mondiale (e non solo)

La rivoluzione dei container ha avuto profonde conseguenze sulla supply chain di ogni impresa, ma anche per l'economia mondiale e, più in generale, sulle modalità in cui le società si organizzano in tutto il mondo. Nel caso di un operatore della supply chain, il risultato sono guadagni in scala condivisi con le aziende sue clienti; nel caso di un'economia, si può parlare di esternalità positiva, i cui guadagni sono condivisi con tutti i partner commerciali. Tale esternalità è "di rete": quando un Paese decide di investire in modo da rendere uno dei suoi porti compatibile con i container, le aziende locali beneficiano di costi di trasporto ridotti, la rete del commercio tramite container si allarga e, di conseguenza, i vantaggi si diffondono anche agli altri Paesi, perché i costi di trasporto si riducono per tutti. Infine, potremmo anche aggiungere i benefici derivanti dagli scambi commerciali, attraverso i quali ogni nuovo Paese che prende parte al commercio internazionale arricchisce se stesso e gli altri.

A livello economico, questa esternalità di rete opera perlopiù attraverso la concentrazione di porti secondo un meccanismo hub and spoke. Stando a uno studio del 1972 sugli scambi tra Europa occidentale e Australia meridionale, i principali porti europei con collegamenti per l'Australia erano 11 prima della rivoluzione dei container, ma soltanto 3 dopo. Oggi, il cosiddetto "Northern Range" europeo è un arco costituito dai tre porti container di Rotterdam, Anversa e Amburgo, che servono da hub principali. Il cargo viene poi spedito in hub nazionali più piccoli, come Felixstowe nel Regno Unito, Le Havre in Francia o Gioia Tauro in Italia. Per i porti molto grandi, la logica hub and spoke ha fatto sì che l'hinterland portuale, ossia le caratteristiche geo-economiche del territorio attorno al porto, sia diventata meno importante che in passato. Sono anzi le caratteristiche locali che assumono una maggiore rilevanza: un porto container efficiente deve essere collocato prima di tutto in prossimità di acque profonde, in modo da agevolare il transito di grandi navi, e poi deve essere dotato di banchine molto ampie, i terminal container, in cui il cargo può essere immagazzinato per uno o due giorni. Questo spiega come mai i più grandi porti di oggi non sono necessariamente porti storici o, se lo sono, si trovano in realtà molto lontano dal centro storico del porto. A causa della logica hub and spoke, tuttavia, lo spazio geografico attorno al porto non beneficia necessariamente dei suoi vantaggi economici. La strategia di un Paese in merito all'eventuale opportunità di tali investimenti deve quindi integrare una serie di parametri, fra cui la natura e la direzione dei flussi che vi transitano, ma anche l'influenza geopolitica, i timori strategici e i profitti commerciali.

La concentrazione è un aspetto chiave non solo a livello spaziale, ma anche a livello temporale: l'importanza crescente degli scambi internazionali e, più in generale, lo sviluppo della globalizzazione hanno reso le supply chain più sensibili alla domanda, e sempre meno all'inventario. Per intere economie, ciò significa basarsi sul sistema "just in time": questo si è rivelato molto conveniente in termini di scorte, ma causa anche una maggiore interdipendenza fra gli operatori della supply chain, la quale a sua volta aumenta il rischio sistemico in caso di mancanze da parte di uno degli operatori o in caso di interruzioni globali nella filiera.

Il peso dei container nel sistema just in time ha applicazioni anche in altri ambiti al di là di quello commerciale. I container (e specialmente i reefer, che includono una sorta di alimentazione energetica) possono essere utilizzati come unità immobiliari in situazioni di emergenza o precarie: ad esempio, è possibile assemblare ospedali e data center molto rapidamente utilizzando container come blocchi, purché siano dotati di connessione a Internet e di una fonte di elettricità.

Riferimenti

  • Estimating the effects of the container revolution on world trade, Daniel M. Bernhofen, Zouheir El-Sahli, Richard Kneller, Journal of International Economics, Volume 98, 2016.
  • The Box. How the Shipping Container Made the World Smaller and the World Economy Bigger, Marc Levinson, Princeton University Press, 2016.
  • Containerization: A 5-year balance sheet, McKinsey Company, 1972.